di Piero Sansonetti
Questo articolo è pubblicato integralmente sul settimanale “Gli Altri” che trovate in edicola per tutta questa settimana. Sul settimanale troverete anche altri commenti elettorali di Fausto Bertinotti, Rina Gagliardi, Antonio Di Pietro, Flavia Perina, Gennaro Migliore, Ritanna Armeni, Andrea Colombo, e moltissimi altri articoli sulla politica, il costume, la cultura
Il Pd, indiscutibilmente, ha perso le elezioni. A parte le regioni rosse, ha vinto solo in Liguria. Per il resto una disfatta. E gli unici candidati di sinistra che hanno retto in “terra nemica” sono stati Nichi Vendola e Emma Bonino, cioè due “esterni”. Ora per il Pd si pone il problema: da dove ricominciare? Bisogna fare un processo al gruppo dirigente?
In realtà il gruppo dirigente del Pd, in questi ultimi anni, è stato un gruppo dirigente “fuori” dal Pd. Da quando il partito è stato fondato – e modellato sulla personalità di Walter Veltroni – il vero centro di elaborazione politica e di decisione è stato trasferito all’”estero”: precisamente nella sede del gruppo editoriale Repubblica. Il Pd, dalla nascita, ha rinunciato alla sua autonomia politica. Il peso che Carlo De Benedetti, Ezio Mauro, Eugenio Scalfari – e il gruppo politico-intellettuale-finanziario che si raduna intorno a loro – hanno avuto sulle scelte, la linea, la collocazione politica del Pd, è stato soverchiante. Neanche il risultato delle primarie, ad ottobre, e la vittoria di Bersani (che era stato osteggiato dal gruppo Repubblica, schierato con Franceschini ) ha modificato le cose. Bersani, con timidezza, ha tentato di elaborare una linea politica autonoma, ma finora ha subito troppo i condizionamenti esterni, non è riuscito nel suo intento.
In che cosa consiste questo gruppo-Repubblica? Nell’alleanza tra un pezzo della borghesia italiana (i settori più conservatori, più tradizionali) e circoli intellettuali ultralegalitari e populisti (che in queste elezioni si sono espressi attraverso il grillismo). Naturalmente quest’asse politico culturale (potremmo definirla l’asse Montezemolo-D’Avanzo) esprime inevitabilmente una linea politica molto chiara. Nel campo dei diritti e delle libertà è una linea sostanzialmente giustizialista. Che adopera il legalitarismo innanzitutto come arma politica quasi esclusiva nella lotta contro Berlusconi, ma spesso lo estende a settori più vasti della società (qualche anno fa Repubblica guidò la campagna xenofoba, anti-rom, che spinse il governo Prodi su posizioni molto discutibili e avviò il suo declino). Nel campo delle politiche economiche la linea è quella tradizionale di Confindustria (Repubblica è stata protagonista di varie battaglie per il taglio delle pensioni, e ancora recentemente non si è certo stracciata le vesti né per la cancellazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori né per la privatizzazione dell’acqua).
Questo impasto tra giustizialismo e confindustrialismo è la miscela politica che ha condizionato pesantemente il partito democratico, spostandolo seccamente a destra. Impedendogli di elaborare una linea politica autonoma, di sinistra, capace di indicare un percorso per aumentare il grado di libertà nella nostra società, e di spingere per riforme sociali a favore (e non a svantaggio) dei ceti più deboli e dei lavoratori.
Sulla base della linea-Repubblica il Pd ha collezionato un numero impressionante di sconfitte. Quella alle politiche del 2008 (dopo l’esclusione e la distruzione della sinistra radicale e delle istanze politico-economiche della quale era portatrice), poi quelle alle elezioni sarde, poi le europee e infine questa tornata regionale.
Mancano, salvo colpi di scena, tre anni alle prossime elezioni politiche. Un tempo ragguardevole. Anzi, nella politica di oggi, un tempo infinito. Esiste la possibilità di costruire in questo tempo una alternativa al centro-destra. A condizione che questa alternativa sia costruita sulla roccia, e non sulle sabbie degli scandali, o delle speranze nel protagonismo della magistratura, o delle intercettazioni e cose di questo genere. Chi – come ad esempio questo piccolissimo giornale – ha tentato nei mesi scorsi di dire queste cose – e ha spiegato che non è sugli scandali sessuali che si costruisce una proposta politica nuova, né barattando i principi essenziali della libertà con qualche avviso di garanzia – è stato trattato come un agente del nemico. Ora i risultati elettorali fanno un po’ giustizia. Il “grillismo” ci ha portato solo a regalare il Piemonte alla Lega. Gli scandalismi sessuali hanno rafforzato Berlusconi. La magistratura (per esempio con la ridicola inchiesta di Trani) lo ha rilanciato quando era in difficoltà. L’unica realtà concreta e vincente della sinistra è Nichi Vendola (e fa piacere che il Fatto Quotidiano abbia subito rivendicato la vittoria di Nichi, smentendo la sua componente “floresdarcaista” – dal nome di Paolo Flores D’Arcais – che in agosto aveva sputato fuoco e fiamme contro il governatore della Puglia). Da qui si riparte. Come?
Tocca al Pd la prima mossa. Visto che il Pd resta la realtà più grande, quella decisiva per la costruzione di una nuova sinistra. Cosa può fare? Deve mettersi in discussione. Deve rompere con Repubblica (che finora, coi suoi abbracci, ha rovinato, nell’ordine, De Martino, Craxi, De Mita, Occhetto, Rutelli, Prodi, e Veltroni). Deve accettare che si apra una fase del tutto nuova per la sinistra italiana, e che questa fase si svolga attraverso una discussione sui programmi e sui principi. Convocare una assemblea costituente della sinistra sarebbe un’ottima idea. Che tenga dentro tutti i partiti, grandi e piccoli, e cioè non solo il Pd ma l’Italia dei valori, i vendoliani, quel poco che resta della sinistra radicale, e chiunque altro sia interessato a costruire l’alternativa al centrodestra. Questa assemblea costituente deve scegliere un leader che l’accompagni fino al 2013 (potrebbe benissimo essere lo stesso Bersani, per ora, poi si vedrà, con le primarie, chi dovrà essere il candidato premier) e fissare le linee politiche essenziali, lasciando naturalmente spazio al pluralismo, alle correnti, ai leader.
Vi sembra una idea tanto balzana? A me sembra puro buonsenso. Naturalmente se si vuole realizzarla, e cioè se si decide di riconquistare l’autonomia politica della sinistra, si deve sapere che bisognerà fare i conti con forze potenti, che cercheranno di ostacolare questo percorso, di impedirlo. Confindustria e Repubblica non si arrenderanno tanto facilmente. E hanno mezzi robusti, specialmente di stampa, da utilizzare nelle loro battaglie. Occorre molta determinazione per vincere questa battaglia. E anche grande lealtà e unità di intenti tra i vari leader. L’obiettivo è altissimo: ridare alla politica i suoi diritti, la sua dignità. E per arrivare a una nuova alleanza tra popolo e politica questo passo è indispensabile.
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